Adriano Serafino
“Girardi e la FLM: la ricerca operaia a Torino”
Premessa
Tengo particolarmente a ringraziare chi si è assunto l’onore di questa
iniziativa e per l’invito a parteciparvi, fatto che mi offre l’occasione
di ricordare due opere di Giulio Girardi scritte in uno dei momenti più
complessi della sua vita, a Torino dal ‘75 ai primi anni ’80. Coordinò
due ricerche: “Coscienza operaia oggi” per conto della Flm, sindacato
unitario dei metalmeccanici; “Uomini di Frontiera” , su incarico delle
Acli di Torino. Contengono messaggi ancor oggi attuali ed indicazioni di
metodi utili per offrire strumenti culturali per acquisire conoscenza e
formarsi una <coscienza di classe>. Non ebbero la visibilità che
meritavano soprattutto a causa dei fattori politici ed economici
contestuali agli anni dello loro stampa (1980 e 1984).
Se rileggiamo i suoi libri riscopriamo la forza straordinaria del suo
pensiero in un’epoca che ha smarrito e non sa aggiornare il concetto di
«classe operaia». Non è un caso se le ricerche e le analisi di Luciano
Gallino descrivono oggi il contesto in cui, nella globalizzazione,
avviene un ‘’conflitto di classe rovesciato’’ dei forti contro il
deboli. Le prime mutazioni della classe operaia, trent’anni fa, furono
efficacemente rappresentate nei collettivi di ricerca promossi da Giulio
a Torino dove molti giovani operai cosi si espressero nel ‘78:
«…qui si continua a discutere e gli operai portano contributi da operai,
mentre io non mi trovo, non mi riconosco in queste cose in quanto io non
parto dal fatto che sono operaio, ma parto dalle mie esperienze come
giovane, dal fatto che non ho ancora 21 anni e ho voglia di vivere… E
quindi non mi riconosco nel movimento operaio...».
1 - Coscienza operaia oggi (‘75-‘79)
Quella ricerca, commissionata dalla FLM nazionale e torinese, venne
decisa nella prima metà del ’75 ma i lavori iniziarono con i collettivi
di base solo nel ‘77 per ostacoli di vario tipo. Si concluse l’anno
successivo e comparve in libreria all’inizio del 1980 in piena emergenza
occupazionale alla Fiat: a luglio furono annunciati 13 mila
licenziamenti in seguito trasformati in 24 mila lavoratori in cassa
integrazione a zero ore dopo la durissima lotta, a settembre, dei
‘’35giorni’’ che segnarono la sconfitta del sindacato costruito sui
Consigli di Fabbrica.
Fu un’esperienza di ricerca complessa da portare a termine: 200 i
protagonisti coinvolti (in prevalenza giovani operai maschi con lavoro
dequalificato, mediamente scolarizzati, militanti sindacali, per la
maggior parte dipendenti Fiat). Cinque i collettivi di studio che si
riunivano settimanalmente, la tecnica di comunicazione base era quella
orale e furono prodotti decine e decine di verbali, che venivano
ridiscussi, solo in minima parte pubblicati . Uno spaccato della classe
lavoratrice.
La scelta di Giulio fu quella di sperimenta¬re un metodo che consentisse
di dare corpo ad un’intuizione: dimostrare la capacità dei lavoratori di
diventare essi stessi ricercatori, riducendo il più possibile
l’intervento del «tecnico» esterno. L’idea ispiratrice della ricerca fu
la fiducia nell’intelligenza e nella sensibilità operaia. Una sorta di
autoanalisi collettiva -o autoanalisi di classe- un metodo simile a
quello dei collettivi femministi che si affermarono in quell’epoca e a
Torino e nell’Intercategoriale Donne Cgil-Cisl-Uil.
Quel metodo -e soprattutto la definizione di <autoanalisi di classe>-
suscitarono giudizi molto contrastanti sia prima che dopo la ricerca. Ci
fu chi sottolineò il rischio di trasformare la ricerca in una raccolta
di testimonianze, chi sostenne l’arbitrarietà di attribuire ad esse una
rappresentazione della classe lavoratrice, chi ne percepì la
marginalità. Per contro, altri sottolinearono il valore di quel metodo
di lavoro che, attraverso la stesura del verbale e la sua rilettura
nella seduta successiva, sollecitava a prendere parola anche coloro che
non erano abituati a farlo, educava a riflettere su quanto affermato, a
mettersi in discussione imparando a rispettare le idee altrui e magari
modificando le proprie.
L’impostazione della ricerca venne continuamente trasformata man mano
che il lavoro procedeva; Giulio mise a dura prova la sua grande capacità
di lavoro e la sua flessibilità nel tener conto delle mutate condizioni
economiche, sociali e di lavoro. L’idea del progetto torinese scaturì in
un periodo segnato da grandi certezze, creatività cul¬turale e forte
ascesa del movimento ope¬raio. Nel ‘73 la redazione de Il Foglio,
periodico cattolico torinese di credenti critici, aveva lanciato una
proposta controcorrente: una borsa di studio per Giulio Girardi con la
motivazione «Le Università cattoliche licenziano Girardi, la base lo
assume» per costituire un Centro di Cultura Operaia. Quell’idea
raggiunse la FLM Nazionale e Bruno Trentin con Pippo Morelli ne furono i
principali sostenitori. Il lavoro di Giulio doveva servire -questa
l’idea originaria- a comprendere le mutazioni avvenute nella coscienza
della classe operaia a Torino, nel cuore della strategia industriale,
dopo il ciclo delle lotte operaie di quegli anni e del riversarsi dei
valori del ‘68-’69.
Erano gli anni della scoperta della dimensione politica in tutti gli
aspetti della vita e quindi le lotte –e in primo luogo quelle di
fabbrica- venivano considerate come l’elemento più significativo di
trasformazione della coscienza e della creatività culturale e politica.
Un’onda lunga, una forza propulsiva che si attenuò dopo le grandi
conquiste normative del CCNL 1973 dei metalmeccanici: l’inquadramento
unico operai-impiegati e il diritto allo studio con le «150 ore» che la
ricerca torinese mise in luce. Quella spinta si esaurì con la crisi del
1975, quando si avviarono i primi incontri e nello scenario italiano
comparvero crisi economica e energetica, ristrutturazioni e
riconversioni produttive, innovazione tecnologiche, rivolta
generazionale del 1977. E poi l’onda lunga del terrorismo e le
pericolose insidie di quello “rosso” brigatista che impegnano
continuamente il sindacato ed i delegati nell’azione di orientamento per
contrastare le infiltrazioni nelle fabbriche. Tutto ciò sconvolse ed
offuscò la strategia sindacale.
Cambiò la domanda di fondo sulla coscienza operaia
In questo nuovo contesto Giulio intuì subito che la ricerca, già in fase
di decollo, dovesse modificare l’originaria impostazione: dalla
riflessione sul passato e sul patrimonio culturale ac¬cumulato con le
lotte, si passò all’analisi del presente. L’inter¬rogativo «che cosa è
cambiato nella coscienza operaia?», diventò «che cosa sta cambiando, che
cosa sta emergendo? » ma prima ancora «chi sono i nuovi operai?»
Così fu possibile dare spazio ed approfondire, nei collettivi di
ricerca, affermazioni del tipo <sono un giovane, ma non mi identifico
come operaio..> oppure <il progresso tecnologico porta disoccupati,
bisogna reagire.>”.Frasi non contemplate dall’ortodossia sindacale, un
po’ eretiche per la gerarchia sindacale ed anche per buona parte dei
delegati ed operai politicizzati che si vedevano messi in discussione.
Ed ancora nuove domande “ in cosa crede, cosa rifiuta, per che cosa
lotta il giovane che entra oggi in fabbrica?».
I risultati di quella ricerca fecero emergere aspetti inediti sulla
soggettività ope¬raia di molti giovani che:
- sottolineavano un crescente distacco dagli obiettivi generali che le
organizzazioni sindacali ponevano alla base delle loro rivendicazioni
dopo la metà degli anni ‘70, il farsi carico degli interessi nazionali
ed i comportamenti conseguenti venivano percepiti (anche per la scarsità
dei risultati conseguiti) come un declassamento dei bisogni espressi
dalla “centralità operaia”;
- constatavano come «l’operaio diventasse sempre più marginale rispetto
alla produzione..» e pertanto contestavano le ristrutturazioni secondo
una presunta oggettività delle scelte tecniche, criticavano il sindacato
che non sapeva opporsi con proposte credibili per superare il lavoro
parcellizzato e dequalificato, le catene di montaggio e relativi
processi produttivi alienanti;
- manifestavano un aperto rifiuto di quella fabbrica come parte centrale
della loro esistenza sostenendo la necessità che per poter vivere
decentemente bisognava spostare l’attenzione sul personale, sulla vita
privata, sul tempo libero fuori la fabbrica, sulle possibilità di
socializzazione che in quegli anni andavano aprendosi a Torino . Non
erano poche le voci che ironicamente affermavano <..qui si parla molto
di centralità operaia ma molti sognano un’altra attività..>. Si va oltre
l’aspirazione del padre operaio che lotta nell’autunno caldo ed è
accusato per questo dai circoli borghesi di “che vuole Contessa, anche
l’operaio vuol il figlio dottore, che tempi Contessa!” .
Ciò che emerse da quello spaccato sociale era molto differente da quanto
osservato dall’ortodossia sindacale e dei partiti storici della
sinistra. Venne così messo a fuoco non solo il patrimonio accumulato
nella coscienza dei lavoratori attraverso le lotte ma, in una visione
più problematica, si giunse ad analizzare bisogni, aspirazioni,
contraddizioni, crisi, interrogativi interni alla classe: dall’esame
degli atteggiamenti nei confronti del lavoro (assenteismo, disaffezione
ecc.) e della militanza (domanda di un nuovo modo di fare politica) la
ricerca si estese a tutti gli aspetti della vita personale e sociale:
l’amicizia, i rapporti personali in fabbrica e fuori, i ‘nuovi
bisogni’, la sessualità, la coppia, il tempo libero, la cultura…. Si
evidenziò uno spaccato antropologico e culturale in cui molteplicità di
giudizi e differenze di sensibilità convivevano e confliggevano nello
stesso gruppo di lavoratori, pur nella sostanziale unicità della loro
condizione materiale di lavoro.
A quella ricerca non partecipò - e c’è da riflettere molto su tale fatto
anche per il riconoscimento successivo fatto da Giulio nel 2002 - il
nuovo soggetto politico-sociale torinese, il gruppo
dell’Intercategoriale Donne Cgil-Cisl-Uil costituitosi nel 1975 per
iniziativa di alcune delegate della Fiat iscritte alla FLM che più che
richiamarsi all’unità di classe si appellò a quella di genere. Le poche
donne iscritte ai seminari di ricerca, trovandosi isolate, si ritirarono
quasi tutte. Uno degli ostacoli a questa collaborazione fu
l’organizzazione pressoché simultanea di un seminario delle «150 ore»
sulla salute della donna, cui si iscrissero ben 1200 donne, e la
preferenza delle donne dell’Intercategoriale per iniziative separate,
elemento che consentiva alle donne la possibilità di esprimersi senza
timore su tematiche mai fino ad allora affrontate dalle organizzazioni
sindacali: la sessualità, la scelta libera e responsabile della
maternità, l’aborto in tutte le sue forme: da quello scelto a quello
subito per le condizioni di lavoro; i rapporti personali in famiglia e
le discriminazioni sui posti di lavoro.
Quel lavoro rimase inutilizzato e rischia oggi l’oblio. Perché non
pensare alla sua ristampa con una prefazione che prenda spunti da questo
Seminario?
2 - Uomini di frontiera ‘ 82-‘84
La ricerca “Uomini di frontiera” fu successiva alla stampa di “Coscienza
operaia oggi”. Cambiarono i soggetti analizzati: i tre raggruppamenti
sociali ritenuti particolarmente rappresentativi furono le Acli
Torinesi, i Preti Operai con il loro progetto comune e la Gioc. La
traccia seguita è nel sottotitolo « scelta di classe e trasformazioni
della coscienza cristiana a Torino dal Concilio ad oggi».
Giulio fu incaricato di coordinare quella ricerca ripercorrendo storie
di organizzazioni ma soprattutto quelle comunitarie e personali di
credenti che, negli anni ‘70 e ‘80, si formarono facendo propria
l’analisi marxista sulla società, sullo sfruttamento e sull’alienazione
perseguendo il primato della persona, un cardine del pensiero di
Emmanuel Mounier . Non erano certamente pochi, a Torino come in Italia,
coloro che pubblicamente affermavano la propria identità di credenti con
“mi sento marxista, sono cristiano, non sono iscritto al PCI”. La stessa
risposta pubblica di Giulio, unitamente al suo insegnamento, furono
considerati inconciliabili ed incompatibili con l’ortodossia dalla
Congregazione Salesiana e ne seguì il suo l’allontanamento e la
sospensione “a divinis” nel 1977.
L’indagine si svolse su due piani: quello politico e quello teologico
ricostruendo le passioni, le tensioni e le lacerazioni al momento della
militanza conseguenti alla doppia appartenenza, alla doppia fedeltà:
alla chiesa ed al movimento operaio. Al centro sempre il primato della
giustizia, della dignità e della libertà della persona.
La prospettiva del dialogo tra cultura cristiana e cultura marxista fu
posta al centro di convergenze tra l’umanesimo conciliare, l’umanesimo
operaio, e l’umanesimo marxista per favorire «la ricomposizione della
classe lavoratrice». Quella problematica, che fece parte
dell’impostazione iniziale (poi tralasciata) per la ricerca “Coscienza
operaia, oggi”, si rivelò del tutto indotta per le discussioni nei
collettivi sulla coscienza operaia di Mirafiori e Rivalta: per i
lavoratori i problemi e le divisioni reali erano altrove ed i
riferimenti espliciti sia al cristianesimo sia al marxismo furono
estremamente rari e rimasero isolati. Sarebbe interessante interrogarsi
più a fondo su questo aspetto. Allora quei riferimenti sembrarono non
avere quella rilevanza che dall’esterno si era tentati di attribuire.
In “Uomini di frontiera” si ricostruì la lunga marcia intrapresa per
ricucire la distanza tra chiesa e classe operaia rimasta tale anche alla
conclusione del Concilio Vaticano II che invece era riuscito a dialogare
con il mondo contemporaneo. Scrisse Giulio “ …il problema del rapporto
con la classe operaia rimaneva, al termine dell’Assemblea conciliare,
tragicamente aperto…quello dei rapporti tra cristianesimo e liberazione
umana”.
A distanza di anni alcune considerazioni
In quegli anni ero segretario generale della Fim-Cisl nella Federazione
Lavoratori Metalmeccanici e poi della Cisl a Torino. Seguii con
interesse quelle vicende che mi appassionarono anche a titolo personale
ed oggi vi sottopongo tre riflessioni:
– i se ed i ma non servono per riscrivere la storia ma aiutano a
riflettere sul presente e sul futuro…. E’ probabile che se il sindacato
torinese -ed io posso ben dirlo- avesse saputo porre più attenzione alle
inedite cose scritte nei verbali dei collettivi della ricerca, avrebbe
probabilmente compreso quanto stava cambiando in fabbrica, nelle teste e
nei sentimenti dei lavoratori che avvertivano la progressiva marginalità
del lavoro operaio e nel contempo l’emergere di nuovi bisogni
soggettivi. Le strategie sindacali ne avrebbero tratto beneficio. La
ricerca, l’inchiesta e lo studio sono attività essenziali per conoscere
la realtà, per trasformarla, per costruire alternative di eguaglianza e
di libertà, per costruire democrazia partecipata e dare senso
all’utopia. Questi strumenti non furono valorizzati allora e tanto meno
lo sono oggi. E’ credibile, oggi, riprendere la lettura del libro di
Gilardi e trasportarlo nel presente? Quanto di quegli scritti e di
quelle analisi sono utilizzabili oggi e quanto possono esserci di guida
per osservare le trasformazioni che ci coinvolgono?
– Giulio fu inflessibile nel giudizio d’incompatibilità che si evidenziò immediatamente tra il ruolo di dirigente sindacale e quello di coordinatore di gruppi di ricerca, tant’è che si decise di porvi rimedio esonerando il sindacalista. Il conflitto fu evidente tra il ruolo di salvaguardare l’ortodossia della linea sindacale e quello di dare credibilità e favorire l’espressione dei lavoratori anche quando affermavano “eresie” dal punto di vista sindacale. Giulio qui colse nel segno, ma c’è un altro aspetto che sottopongo alla vostra attenzione. Giulio, per quanto conosco, è stato prima che educatore un militante, un combattente per le idee per la liberazione. Per il coordinamento dei gruppi di ricerca si propose la figura dell’intellettuale-militante . Nessun conflitto di ruolo nel condurre una ricerca analitica? Riflettiamoci e più in generale sul ruolo dei protagonisti sociali in presenza di grandi sommovimenti (avanzamenti o arretramenti) sociali e culturali. In particolare qui mi riferisco all’identità operaia. Nella ricerca torinese di Giulio molti giovani lavoratori della Fiat non si identificano come operai. Nella stessa città molti studenti, professori e professionisti, trasformarono l’empatia verso la classe operaia (esempio Lotta Continua) in identificazione permanente nel ruolo operaio, abdicando al proprio . Non finì bene.
- il suo metodo di lavoro sperimentato oltre trent’anni fa – lo
scambio e l’ascolto prima, l’estrema libertà di espressione senza tema
di giudizi, il ritorno scritto da discutere ancora collettivamente-
penso sia ancora la base su cui poter lavorare per inchieste e ricerche
. Posso solo ipotizzare come avrebbe operato Giulio, se in quei tempi
avesse potuto disporre di Internet, di mailist, di twitter e facebook.
Così pure come sarebbe stato più efficace l’operato di Marie Claude,
infaticabile collaboratrice di Giulio e compagna, per quell’immenso
lavoro di sbobinatura, trascrizione e ciclostilatura fino a notte
inoltrata disponendo di moderni registratori, di computer e stampanti
laser. Le nuove tecnologie hanno tagliato drasticamente distanze e
tempi, nuove ricerche potrebbero essere fatte su base nazionale ed
internazionale, sollecitando conseguentemente lo studio continuo,
comprese le lingue e l’utilizzo delle reti.
Sono dei SE….. ma sono realizzabili. Si può credere ed avere speranza.