Marie Claude Ryckebusch
"L'uomo Giulio Girardi"
PAROLE PER RACCONTARLO
Introduzione
Questi punti, che ho ordinato in parole o espressioni, vengono
dai miei ricordi del periodo condiviso con Giulio che corre dal 73 al
80, periodo essenziale per lui in quanto è quello delle sue varie
esclusioni,( dopo quella iniziale del 69 dall'ateneo salesiano), e da
alcuni brani estratti dalla sua corrispondenza.
Incontrai Giulio a Parigi, nel '73. Abitava allora presso una comunità
salesiana. Era titolare di un corso su « ateismo marxista, ovvero
Marxismo e religione » all'Istituto di Scienze e teologie delle
religioni presso la facoltà di Filosofia dell'Institut Catholique.
Giulio cercava una collaboratrice, io stavo ultimando la mia laurea in
letteratura e avevo seguito un corso di segreteria. Ci incontrammo e fui
assunta.
Disciplina di lavoro e di concentrazione.
Capacità di lavoro per se stesso e esigenze nei confronti dei suoi
collaboratori. Ritmo della giornata di Giulio.
Lavorare con Giulio fu fin dall'inizio insieme entusiasmante..e senza
limiti. Posso dire che con lui ho imparato a lavorare. Era sempre chiaro
nelle sue richieste ed esigente nelle risposte che pretendeva. Aveva un
suo modo, dolce e gentile, di fare capire che non bastava, che bisognava
fare di piu' e meglio.
Era solito alzarsi alle cinque del mattino e si metteva a scrivere. Era
l'ora dell'ispirazione. Io arrivavo alle 9, facevamo una messa a punto
sulle novità e il passaggio delle consegne. Poi mi recavo nel mio
ufficio e se non c'era niente di particolare ci ritrovavamo a fine
giornata per fare il punto .
Questa era una giornata normale, ma furono poco numerose : già
dall'autunno 73 (7 ottobre) ci fu l'esclusione dalla Cattolica.
Avvenne tre settimane dopo il golpe cileno, che era al cuore delle
nostre preoccupazioni in quanto gli echi ricevuti da Santiago sulla
situazione dei nostri compagni Cristiani per il Socialismo erano
drammatici. Cominciammo comunque la nostra battaglia, comunicando
freneticamente su quello che divenne «l'affaire Girardi», per indurre
reazioni, conferenze stampa, ecc.
Giulio era stimolato dalla battaglia che tale impegno richiedeva, come
ho potuto constatare in seguito ad ogni reazione delle istituzioni
religiose nei suoi confronti. Non era per nulla affranto, anzi molto
combattivo. E diceva: « le mie vicende personali non sono niente in
confronto con quello che vivono gli amici cileni, nel miglior dei casi
costretti a girare per strada notte intere per sfuggire all'arresto..
Impegnandoci insieme in quest'avventura di vita intensa, finimmo per
annullare i confini fra lavoro, lotta, emozioni, affetto. Per Giulio, la
vita era il lavoro, inteso come lotta di liberazione. Per lui il « tempo
di vita » era il lavoro e non concepiva il concetto di vacanze. Mi
scriveva durante un mio periodo di ferie: « puoi aspettare
tranquillamente la fine della settimana in montagna, visto che ti sei
portato da lavorare».
Per Giulio, uno non si riposa, al massimo si distende, con una serata
piacevole con amici. Giulio aveva un senso spiccato dell'umorismo, e
rideva di cuore alle battute, anche dirette a lui, dal momento che erano
fatte con affetto.
Grande capacità di analisi, caparbietà nel
perseguire gli obiettivi scelti.
L'acutezza dello sguardo di Giulio sulle realtà che lo
circondavano mi ha sempre colpita, così come la sua facilità a tradurre
per iscritto una sua intuizione .
A volte, arrivavo nel suo ufficio e mi diceva di entrare senza alzare la
testa dalla sua macchina da scrivere, una vecchia Olivetti manuale.
Sapevo che mi conveniva star zitta finchè l'ispirazione non si fosse
concretizzata in parole scritte.
Un piano d'opera stava nascendo che avrebbe poi sviluppato. Sapevo di
assistere in quei momenti di primo mattino ad un atto di creazione.
Questo spiccato dono d'analisi lo utilizzava anche per descrivere un
ambiente, come quel mondo universitario statale nel quale s’inseri molto
più in là, nel '77, assunto dall'Università di Lecce.
Mi scrisse allora, nei primi giorni del suo insegnamento : « venivo qui
senza illusioni, ma la realtà è al di sotto di quanto potevo immaginare.
L'università è un'immensa macchina che gira a vuoto e che gira male,
sprecando energie e risorse. I professori lavorano (se lavorano) senza
convinzione e senza entusiasmo. Gli studenti non aspettano niente se non
un diploma di cui sanno che non servirà a nulla. I precari si agitano
per farsi un posto, in una struttura in cui non credono ».
Questa capacità notevole di Giulio di sintetizzare con grande chiarezza
le sue idee la usava anche quando si trattava di sintetizzare il
pensiero di chi avversava le sue tesi. Ho potuto osservarlo molte volte,
sia nelle sue risposte alla gerarchia che lo escludeva che nelle sue
analisi di conflitti ai tempi della ricerca sulla coscienza operaia.
Mi viene da citare la sua risposta alla lettera del Padre Bouillard che
gli comunicava la sua sospensione dell'insegnamento all'Institut
Catholique:
« il suo modo di affrontare i problemi rassomiglia perfettamente sia per
il contenuto che per la forma, a quello che ho conosciuto a Roma. E'
facile essere liberale finché un insegnamento di cui non si condivide
l'orientamento, non fa problema: è quando comincia a crearne che
dovrebbe manifestarsi lo spirito liberale. I principi di cui lei si
richiama sono gravi nella misura in cui mirano ad eliminare dall'ateneo
una scelta politica che è condivisa dalla metà dei francesi. »
Cito anche una lettera che mi scrisse al momento di andare all'incontro
decisivo con la gerarchia salesiana, per la sua sospensione o meno a
divinis. Siamo il 31 luglio del 76, Giulio fu sospeso ai primi di giugno
del 77:
« mi preparo all'incontro di domani a Torino. Non faro' nessuna
concessione. In cuor mio, mi auguro che non ne facciano neppure loro.
Vedo sempre più chiaramente che i compromessi si ritornano spesso, a
lungo termine, contro gli obiettivi perseguiti. »
Parlando della caparbietà di Giulio ha un significato particolare il suo
impegno per catturare i mezzi tecnici che potevano fargli guadagnare
tempo per il suo lavoro. Cosi', quando ci lasciammo, e cioè quando la
sua collaboratrice e autista venne a mancargli, lui s’impose di imparare
a guidare. Ed io, cosi come i suoi amici, continuo a maledire il
disgraziato che gli concesse la patente.. Scherzi a parte, ho ammirato
il suo modo tenace di stabilire un rapporto con il computer e di
abbandonare la sua fedele macchina da scrivere meccanica .
L'uomo di cultura, l'insegnante, era pronto a diventar scolaro per
incrementare la produttività dello scrivere, del trasmettere il pensiero
per la causa degli ultimi e mi scriveva nell'89 « sono stato per lungo
tempo alle prese con l'incontro col computer. Riconosco che facilita
molte cose e spero che questo aumento di produttività sarà al servizio
di qualcuno, o come dici tu di una causa ».
Sensibilità, empatia, e vulnerabilità
La sua sensibilità era dovuta alla straordinaria capacità di ascolto
che spesso lo portava a intensa empatia con i suoi interlocutori.
Questa grande sensibilità e esperienza della sofferenza psicologica
contribuì certamente a questa straordinaria percezione della sofferenza
altrui e rese acutissima la sua capacità di analisi.
Questo Giulio Girardi lo ritroviamo in tutte le attività di ricerca e si
evidenzia ancora maggiormente nel lavoro con le comunità di
accoglienza.Giulio mi scriveva a questo proposito:
“quello che faccio con loro rassomiglia per il metodo alla nostra
ricerca operaia di Torino. Ma la gente si impegna di più al livello
personale, ed anch'io. Queste comunità di accoglienza che ho scoperto di
recente sono diventate per me un nuovo luogo di ricerca e una fonte
d'ispirazione. Ho sempre avuto un debole per i matti”.
L'altra faccia della sensibilità è la vulnerabilità di Giulio a fronte
di contestazioni che non riguardavano il merito delle questioni ma il
metodo dei rapporti tenuti con l'interlocutore. Ciò lo esponeva a
momenti di depressione.
Giulio era una persona estremamente sincera e leale, e lo feriva
profondamente chi metteva in dubbio la sincerità delle sue intenzioni.
La depressione lo colse anche negli ultimi anni della sua creatività,
quando ebbe la sensazione che il suo lavoro non interessava nessuno.
Già nell'83, mi scriveva: « la mia vita è molto piena, le attività e le
sollecitazioni non mancano, la passione neppure. Però mi capita più
spesso che in altri periodi di chiedermi se tutto ciò serve a qualcuno o
a qualcosa. Mi sforzo di crederci. » Questo interrogativo Giulio me lo
espresse sempre di più negli anni seguenti, quando ci sentivamo per
telefono.
Ho sempre conosciuto Giulio con questa fragilità , forse originata da
una situazione familiare difficile. Egli aveva 10 anni quando i genitori
si separarono, e lui fu messo in collegio dai salesiani ad Alessandria
d'Egitto, poichè la mamma lavorava (teneva un istituto di bellezza) e
non poteva occuparsi dei figli. Anche la sorella Yolanda fu messa dalle
suore. Non tornavano neppure il fine settimana a casa.
Giulio adorava Sylvie, la sua mamma. Era solito dire, (me lo ricordava
ancora Yolanda di recente) « anche lei ci amava , ma ci amava male ».
Giulio perse la mamma durante il periodo bellico e lui non potè recarsi
da lei quando era in fin di vita. Questo fu un grande dolore di cui lui
parlava spesso.
Questa sua grande sensibilità, questo suo modo di fare “helpless” lo
rendeva « avvicinabile» e seducente.
Lui non era l'intellettuale in cattedra, era molto attento a chi aveva
di fronte. Una mia amica di quei anni 70 ricorda di lui questa sua voce
dolce e pacata, questo suo sorriso timido nell'ascoltare le persone a
cui voleva bene.
Onestà intellettuale e libertà di scelta
Giulio metteva la sincerità, la coerenza e la libertà di scelta
al di sopra di ogni cosa. Esprimeva il suo pensiero senza pensare al
peso delle consequenze. Ogni qual volta gli fu richiesto di rinunciare
ad esprimersi come lui lo intendeva, si rifiuto' di farlo.
Rispondeva alla lettera di Padre Bouillard, che gli chiedeva di fare
astrazione nel suo insegnamento delle sue scelte politiche:
« mi è impossibile di non manifestare nel mio insegnamento le
convinzioni che segnano tutta la mia vita e orientano tutta la mia
cultura . Ogni insegnamento è politicamente orientato, in modo conscio o
inconscio. E' impossibile spiegare il marxismo senza prendere posizione.
Per ciò, anche l'insegnamento del mio successore sarà segnato da una
posizione politica. Ovviamente sarà contraria alla mia ».
Voglio citare anche una lettera che mi scrisse al momento di andare
all'incontro decisivo con la gerarchia salesiana, per la sua sospensione
o meno a divinis. Era il 31 luglio del 76, Giulio fu sospeso ai primi di
giugno del 77:
« mi preparo all'incontro di domani a Torino. Non farò nessuna
concessione. In cuor mio, mi auguro che non ne facciano neppure loro.
Vedo sempre più chiaramente che i compromessi si ritornano spesso, a
lungo termine, contro gli obiettivi perseguiti. ».
Quest'esigenza di fedeltà alle sue posizioni, questo bisogno di
essere sempre in grado di poter scegliere la sua vita, gli veniva
ovviamente da quegli anni d'infanzia e di adolescenza, privati di ogni
possibilità di scelta.
Questo si traduceva al livello personale, nella difficoltà ad impegnarsi
in una relazione affettiva. Diceva « il mio problema viene dal mio
timore di sentirmi legato da un impegno non scelto da me. Ho troppo
sofferto di questo genere d'impegno e tutto quello che gli rassomiglia
mi spaventa » e in un'altra lettera: « finché si tratterà di scegliere
fra amore e libertà, sceglierò la libertà. »
Per quanto riguarda amore e ideale, libertà o compromessi questo è
l'aspetto della personalità di Giulio più complesso, in quanto riteneva
il compromesso sempre e comunque aldilà del contenuto un atto che
allontanava il conseguimento degli obiettivi. Nella vita collettiva come
in quella privata. In quanto riteneva la libertà una scelta con una sola
valenza positiva.
Per concludere
Mettere giù queste righe mi è costato, in fatica e lacrime.. il periodo
vissuto con Giulio fu determinante per la mia personalità . E' stato
ricco di insegnamento, e ha contribuito in gran parte alla crescita
culturale della donna che sono diventata.
Giulio voleva essere libero da vincoli, ma a modo suo voleva che anch'io
lo fossi.
Ricordo a questo proposito, che al momento del nostro trasloco da Parigi
a Torino nell'autunno del 76, lui fece di tutto per convincermi a non
seguirlo. La sua preoccupazione era che non mi sentissi obbligata a
questo sradicamento, e cosciente delle conseguenze di questa scelta.
Ma si dovette arrendere davanti alla mia testardaggine.
E' grazie a lui, alla sua infinita tenerezza e eccezionale capacità di
accettare il percorso della giovane donna che gli stava accanto , che
sono stata in grado di incamminarmi nella vita anche quando ha voluto
dire allontanarmi da lui, senza però mai negarli la mia amicizia e
solidarietà.
Ma questa è un'altra storia.